martedì 15 aprile 2008

La neve.

Una giorno camminavo per una strada sferzata dal vento gelido di dicembre.
Volevo scappare da tutti e da nessuno in particolare.
Odiavo il mondo, odiavo me stessa, odiavo tutto quello che ero e tutto quello che ero stata.
Rabbia violenta colpiva ritmicamente il mio torace mentre il cuore pompava furioso un sangue sporco di alcol e di altre sostanze.
Volevo farla finita con quella che mi sembrava una vita priva di senso, un’esistenza che si protraeva tutta uguale giorno dopo giorno, senza possibilità di sbocco o di salvezza.
Non credevo più in niente, non sapevo più chi ero né cosa volessi realmente fare.
Non volevo avere un futuro.
Volevo fuggire via da casa.
La neve ricopriva i marciapiedi che risplendevano grazie al bagliore diffuso dei lampioni gialli.
Era una notte calma e estremamente quieta, una di quelle notti prima di Natale in cui poche anime si scollano dal caminetto per uscire al freddo invernale; una di quelle notte in cui la migliore compagnia possibile è stare da soli.
Le vetrine risplendevano come stelle di un cielo cittadino, anche se nessuno si fermava per ammirarle.
La neve cadeva tranquilla e ricopriva tutto con una pace insolita.
Dentro di me sentivo ribollire la rabbia compressa di mesi e mesi di silenzio, tanto che il freddo sfiorava la mia pelle senza toccarla realmente.
Non avevo bisogno della sciarpa, che in quel momento mi sembrava una prigione irritante.
Piuttosto, dovevo sfogarmi con qualcosa o con qualcuno.
Probabilmente ero troppo assorta da potermi rendere conto di dove mi stavo dirigendo; fatto sta che in breve vidi davanti a me un muro, e intorno solo alberi. Ero finita in un giardino.
No, anzi, in un cimitero.
La luna era la mia unica amica in quella distesa di silenzio eterno e buio innaturalmente fitto.
Era come se l’oscurità inghiottisse la pallida luce del satellite della terra, come se la risucchiasse perché pareva evitarla, non sembrava realmente attraversata dai fotoni.
Perché ero giunta in quel posto? Prima di allora non ne conoscevo l’esistenza.
Sembrava un cimitero come circondato da colline.
Forse mi ero addormentata e quello non era che uno dei tanti scenari da incubo che negli ultimi tempi violentavano le mie notti?
No, ero sveglia, così sveglia da sentire il buio risucchiare me stessa insieme alla luce lunare.
Dovevo uscire di lì, in qualche modo; ma come?
Ero sola, persa in quel mare di lapidi di morti sconosciuti.
Improvvisamente cominciai a camminare e notai con mio enorme stupore che il terreno era completamente libero dalla neve, che il cielo era stellato… e che avevo caldo.
Mi tolsi il giacchetto.
Lessi nomi di persone morte secoli prima della nascita dei miei genitori e addirittura dei miei nonni; foto di bambini appena nati, ritratti di anziani ultracentenari…
Man mano che leggevo identità e date iniziai a capire che c’era una successione logica in quelle tombe; o per lo meno, una successione logica per me.
Poi compresi, leggendo anche gli epitaffi, che ogni morto ricordava persone che avevo conosciuto, parenti, insegnanti e amici.
Ma venni folgorata quanto, con mio orrore, notai che le loro vite erano come legate alla mia, come se dentro quelle tombe ci fossero pezzi di me.
Mi resi conto che loro erano stati quello che per poco tempo ero stata io; che avevano fatto quello che avevo fatto io; che avevano vissuto in epoche in cui avevo voluto vivere io; che avevano nomi, nomi che io più volte avevo utilizzato in alcuni miei racconti.
Davanti, dietro e intorno a me vi era la mia vita e vi erano le mie storie.
Morte.
Mi avvicinai ad una lapide e strizzai gli occhi per vedere meglio.
Vidi una ragazza che sorrideva e portava capelli lunghi e neri.
“Caterina, figlia amorevole, amica fidata, resterai per sempre la nostra sognatrice che sfidò il mondo con una penna e un foglio di carta”.
Più sotto, le date: “24 settembre 1991 – 27….”.
Un tonfo sordo improvviso mi spaventò e mi fece distogliere lo sguardo dalla lapide.
Mi voltai di scatto ma non scorsi niente o nessuno di sospetto.
E mentre tornavo a leggere quei numeri così familiari, sentii che un vento leggero, una brezza marina si stava avvicinando a me invisibilmente fino a sfiorarmi con dolcezza; il mio nome fu sussurrato nel buio.
Balzai in piedi e, con il respiro affannoso, mi guardai, spalancando gli occhi, intorno.
Non riuscivo a capire cosa stava succedendo; ma soprattutto non comprendevo come era possibile che tutte quelle tombe fossero… me, e che quella Caterina mi assomigliasse così tanto.
Insospettita, impaurita e nervosa cercai di uscire da quel labirinto marmoreo, ma i miei occhi si appigliavano a date, a nomi, a foto e ad epitaffi, fino a che dovetti fermarmi e cancellare quel frullato di identità che mi congelava la mente.
Invocai tutta la mia calma che, nelle situazioni di stress emotivo, se la filava sempre via.
Poi una luce accecante si aprì tra quei morti e mi chiamò a sé.
Mi diressi verso quella che mi sembrava la via d’uscita.
La luce era calda e potente, quasi ipnotica; sentivo di dover andare, così lo feci.
E poi svanì con la stessa velocità con cui era apparsa.
E vidi davanti a me una porta.
La varcai.
Uscii.
D’un tratto il caldo e familiare gelo invernale mi investì con straordinaria violenza lasciandomi senza fiato e costringendomi a coprire il mio corpo tremante. La neve si appiccicava invadente.
Allora mi girai ma notai che il muro e la porte per quel cimitero erano scomparsi.
Non c’erano più.
Riconobbi la strada in cui ero capitata.
Mi sentii calda dentro, calda di un sentimento piacevole e morbido, non spigoloso come l’odio e la rabbia.
Guardai le mie mani e le trovai diverse, come scavate da solchi profondi.
E anche il mio pallido viso da adolescente rispecchiava una persona differente, una persona più distesa, una persona i equilibrio.
Non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo ma d’un tratto non ero più io.
Mi sentivo nata di nuovo e pronta ad abbracciare il mondo con una nuova energia.
Sospirai.
Le mie scarpe erano consumate; avevo percorso tanta strada.
Decisi di tornare a casa.

4 commenti:

J!mMy ha detto...

fresca fresca dal mio forno mentale; il canzoniere si sta espandendo.

SpeachlessGiuly ha detto...

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J!mMy ha detto...

lo sapevo, era logico che qualcuno lo criticasse, d'altronde nemo propheta in patria sua.
comunque sia, se andate al di là del prato di pregiudizi in cui pascolate vedrete un mondo intero... bisogna solo apripre la mente.. e poi un cimitero assume altri significati.
nn sbuffate tutte le volte che scrivo qaulcosa di apparentemente triste, xkè in realtà c'è molto più senso in questo che in "c'era una volta una bella casetta in montagna".
io sto percorrendo una strada... questo storia è la metafora allegorica di quello che mi sta succedendo in questi tempi...




plajubadw

J!mMy ha detto...

ma questo sta diventando il mio blog o c'è qualcun altro in sala amministratori???

e il pubblico di internet??